Il fondatore
DOMENICO CAPRANICA – Cardinale e vescovo di Fermo, nato a Capranica Prenestina nel 1400, morto a Roma il 14 luglio 1458.
Nacque il 31maggio dell’anno del giubileo 1400 a Capranica Prenestina nel Lazio dal “nobilis romanus” Niccolò (Cola), morto nel 1438, e da una Iacobella (Iacovella), morta nel 1438-39, di cui si ignora la famiglia.
La famiglia del C., il primo esponente della quale a noi noto è un “miles” Stefano, ricordato nel 1387 in occasione delle nozze di Niccolò Colonna con Iacova, figlia del principe Stefano di Niccolò Conti di Poli, era legata ai Colonna di Genazzano da un rapporto clientelare. Ciò spiega la rapida ascesa nella gerarchia dei tre figli di Niccolò destinati alla carriera ecclesiastica, Paolo, Domenico e Angelo, al tempo del pontificato di Martino V Colonna (gli altri tre figli, Antonio, morto nel 1438, Giuliano, morto nel 1461, e Giovanni Battista, morto nel 1478, assicurarono invece la discendenza della famiglia). Fu soprattutto Paolo, segretario pontificio sotto Martino V, dal 1420 vescovo di Evreux e dal 1427 arcivescovo di Benevento, che morì prematuramente nel 1428, a preoccuparsi della carriera dei fratelli minori. Attraverso di lui il C. ricevette la sua prima istruzione, probabilmente a Roma, visto che più tardi si ricordò delle devastazioni operate dalle truppe di re Ladislao negli anni 1408-10: “vidimus tempore regis Ladislay basilicas apostolorum Petri et Pauli et fere cunctas ecclesias Urbis equorum et mulorum stabulum” (Arch. Segreto Vaticano, Arm. XXIX/12, f 27v).
Dopo la conclusione dei primi studi, dedicati, secondo le parole dell’orazione funebre pronunciata dal vescovo di Orte Niccolò Palmieri, “non solum gramatice, verum etiam studiis humanitatis” (cod. Vat. lat. 5815, f. 15r), fu mandato da Paolo, all’età di quindici anni, all’università di Padova, dove iniziò gli studi di giurisprudenza, allievo del giovane Giuliano Cesarini (più tardi promosso cardinale contemporaneamente a lui), il quale per due anni vi insegnò diritto canonico. Poi continuò gli studi a Bologna, dove fu suo maestro Giovanni (Nicoletti) da Imola, professore di diritto canonico e civile (ibid., ff. 15v-16r).
In quel periodo il C. si incontrò a Mantova con Martino V che tornava dal concilio di Costanza, il quale gli conferì (nella bolla il C. è qualificato come “clericus Penestrin. dioec.”) un beneficio “sine cura” nella diocesi dei Marsi che egli aveva sollecitato con supplica dell’8 febbr. 1419 (Arch. Segr. Vat., Reg. suppl. 120, f. 223v). Dopo aver ottenuto un canonicato nella chiesa dei SS. Gervasio e Protasio a Budrio nella diocesi di Bologna e altri benefici ed aspettative, gli fu conferito il 15 apr. 1420 un canonicato nella diocesi di Costanza (Ibid., Reg. Lat. 207, ff. 258r-259v) che gli fu tuttavia contestato, cosicché vi rinunciò il 17 giugno 1423 in cambio di una “pensio”. Il 1º maggio 1420 seguì la concessione di un canonicato con prebenda presso la chiesa collegiata di Gross-Glogau (Slesia). Nella bolla del 18 febbr. 1422 con la quale gli veniva conferita la parrocchia di S. Terenziano (diocesi di Chiusi) si accenna agli studi seguiti a Bologna (“Bononie in iure canonico studet”, Ibid., Reg. Lat. 226, ff. 29v-30v), ma è molto probabile che li concludesse ancora nello stesso anno con il conseguimento della laurea in diritto canonico. Le fonti lo qualificano di solito come “decretorum doctor” e perciò la supposizione che egli si fosse addottorato in utroque è priva di fondamento. Già al tempo dei suoi studi universitari si dedicò a letture teologiche e umanistiche dando la sua preferenza ad autori come s. Agostino, Cassiano, s. Gerolamo e Seneca, che dopo il Decretum Gratiani erano i testi che conosceva meglio.Il 3 febbraio 1423 il C. entrò come chierico al servizio della Camera apostolica (Ibid., Arm. XXIX/3, f. 138v), dove la sua attività gli poneva in prima linea compiti amministrativi, finanziari e giudiziari. Molto presto poté dimostrare al pontefice, con una delicata missione assolta brillantemente, che la fiducia accordatagli non era immeritata: il 14 nov. 1423 fu mandato, assieme al maestro generale dei domenicani, Leonardo Dati, a Siena, per promuovere lo scioglimento del concilio ivi riunito, pericoloso dal punto di vista della politica ecclesiastica. Il concilio infatti si sciolse, dopo una seduta segreta del 19 febbraio, con una dichiarazione datata al 26 febbr. 1424. Il premio per questo successo fu prima la nomina a segretario pontificio – in questa veste è ricordato tra l’8 dic. 1424 e l’11 sett. 1425 -, poi, verso la fine dell’anno, il conferimento dell’amministrazione della diocesi di Fermo nella Marca d’Ancona. Il 22 dicembre ottenne l’indulto che gli permetteva di non farsi consacrare né prete né vescovo se prima non fosse giunto nel possesso indisturbato di Fermo.
Contemporaneamente gli furono confermati tutti gli altri benefici, in particolare quelli ottenuti di recente, cioè la “scholasteria” nella cattedrale di Metz e la prepositura di Albi (Ibid., Reg. Lat. 251, ff. 9r-10r, 66r). Al beneficio di Metz rinunciò nell’agosto del 1430 a favore del suo familiare Zanino Fabri. Il 5 giugno 1426 fu nominato dal papa rettore di Forlì, Imola e Cervia (Reg. Vat. 356, ff. 13r-14r; 350, f 261v). Proveniente da Bologna giunse il 14 luglio a Forlì “e fo molto bene aceptado dai citadini; portogle inpetto uno baldachino al modo uxado, non gle volse mae intrare sotta” (Pedrino, Cronica, p. 154). In breve tempo riuscì a ristabilirvi la disciplina monastica e a rafforzare l’autorità del papa. Perciò Martino V lo nominò, nell’agosto del 1428, governatore di Bologna che si era ribellata al dominio, pontificio. Per sottomettere i ribelli, il C. raccolse massicci contingenti di truppe, isolando la città con l’occupazione dei castelli nei dintorni. Ma il suo atteggiamento duro e intransigente indusse il papa, interessato a concludere al più presto la pace, a sostituire il C. con il più moderato cardinale Lucido Conti (18 giugno 1429). Poco tempo dopo la sua sostituzione a Bologna fu richiamato anche dal suo rettorato, nonostante che vi fosse molto apprezzato, come ci informa il cronista Pedrino (Cronica, p. 229). Tornò a Roma il 5 genn. 1430, dopo aver avuto colloqui confidenziali a Meldola con il suo successore Francesco Monaldeschi, vescovo di Orvieto.
Durante il viaggio di ritorno, giunto a Deruta, gli fu offerto un dono da parte del magistrato di Perugia e ciò lascia pensare che si fosse avuto qualche sentore del progetto di affidare al C. il governo di quella città. Infatti il C. fu nominato governatore, con decorrenza dal 1º luglio 1430, come successore del vescovo di Padova Pietro Donato, che si trovava in aspri contrasti con la cittadinanza; gli fu assegnato uno stipendio di 4 fiorini di camera al giorno. Fece il suo ingresso a Perugia l’8 luglio e si preoccupò in particolare del restauro delle mura cittadine e della cittadella e del miglioramento della vita morale e religiosa nei monasteri sottoposti alla sua giurisdizione. Un registro redatto dal suo cancelliere Pietro da Noxeto ci informa dettagliatamente dell’attività svolta a Perugia (Arch. Segr. Vat., Arm. XXIX/12). Il 1º agosto dovette lasciare la città per fuggire l’epidemia di peste che vi era scoppiata e si recò a Montefalco, dove stabilì la sua residenza. Quivi lo raggiunse la notizia della pubblicazione in data 8 nov. 1430 della sua elevazione al cardinalato, che gli era stata comunicata il 10 da Giovanni da Amelia, mentre il 22 dello stesso mese gli venne consegnato da Domenico da Sarteano, familiare del cardinale Cervantes, il breve di Martino, V del 19 novembre che gli assegnava il titolo diaconale di S. Maria in via Lata, pubblicato il giorno seguente nella chiesa di S. Agostino (ibid., ff. 36r, 38r).
Tuttavia resta ancora in discussione, la vera data della sua elevazione; buone ragioni vengono addotte sia per il 23 luglio 1423 sia per il 24 maggio 1426. È certo comunque che era tra quelli che furono creati cardinali il 26 maggio 1426. Ma considerazioni di politica ecclesiastica avevano indotto allora il papa a desistere dalla pubblicazione, perché non voleva aumentare il numero consueto dei cardinali né assegnare una parte eccessiva agli italiani nel collegio cardinalizio.
Richiamato in tutta fretta a Roma dopo la morte di Martino V, il C. si fermò in S. Lorenzo fuori le Mura e chiese di essere ammesso al conclave, nonostante non avesse ancora ricevuto, a causa della sua lunga assenza da Roma, il cappello rosso, simbolo della dignità cardinalizia. I fautori del cardinale Giordano Orsini aspirante alla tiara, preoccupati di non aumentare il numero degli avversari,del loro candidato, riuscirono a impedire la partecipazione del C. al conclave, malgrado la protesta dei cardinali Correr, Carrillo, Cervantes e Prospero Colonna. Neanche il nuovo papa Eugenio IV, eletto come candidato di compromesso il 3 marzo 1431, il quale era caduto immediatamente sotto l’influenza della fazione degli Orsini, volle riconoscere le pretese avanzate dal Capranica.
Anzi, con la costituzione In eminenti del 25 ott. 1431, il pontefice privò il C. della dignità cardinalizia, perché, secondo le sue argomentazioni, soltanto il conferimento delle insegne attribuiva nome e diritto di cardinale, e perché soltanto dopo la cerimonia dell’apertura della bocca il nuovo porporato aveva il diritto di partecipare all’elezione pontificia. Visto che inoltre era “fuggiasco”, gli furono tolte, il 31 marzo 1432, anche la pensione che riceveva dal monastero benedettino di Preciano nella diocesi di Tortosa (Reg. Vat. 372, E 26v) e l’11 maggio l’amministrazione del vescovato di Fermo, che venne conferito al vescovo di Valva, Bartolomeo Vinci (ibid., f. 2v; 381, ff. 115v-117v).
Infatti, per paura di persecuzioni il C. si era nascosto per un certo tempo nella solitudine del monte Soratte e quando da Roma gli era giunta la notizia che i suoi nemici avevano saccheggiato il suo palazzo romano, dispersa la sua preziosa raccolta di libri e addirittura cercato di attentare alla sua vita, era fuggito a Siena passando da Rignano, Scarlino e Sarteano. A Siena assunse al suo servizio il giovane Enea Silvio Piccolomini e si recò, passando da Piombino, Portovenere e Gcnova, a Milano, dove fu accolto amichevolmente dal duca Filippo Maria Visconti. Attraverso il passo del San Gottardo continuò il suo viaggio per Basilea, dove giunse il 15 apr. 1432 insieme con l’ambasciatore milanese e prese alloggio nel locale convento dei minoriti.
Solo il 16maggio fu incorporato nel concilio e partecipò in seguito ai lavori. Il 22 maggio diventò membro della “deputacio communis”, più tardi di quella “pro pace” e l’11 luglio la nazione italiana lo costituì “precognitor” degli affari correnti. Fece parte anche della commissione particolare incaricata di esaminare l’affare dell’elezione di Treviri. Ma soltanto il 2 agosto portò il suo caso personale davanti all’assemblea plenaria, la quale in un primo momento istituì una commissione di inchiesta, nella quale il C. era rappresentato dai suoi procuratori, l’ufficiale di Passau, il “magister” Petrus Flick, ed Enea Silvio Piccolomini, e che poi, il 31 ott. 1432, dopo aver sentito molti testimoni, si pronunciò a favore della validità del suo cardinalato. Così il 12novembre, in sella a un cavallo e “cum capello rubeo” il C. andò incontro al cardinale Branda da Castiglione che faceva il suo ingresso a Basilea. Partecipò anche in seguito ai lavori del concilio, come per es. alle trattative tra la Repubblica di Venezia e il patriarca di Aquileia relative ai beni temporali di quest’ultimo nel Friuli. Fu poi proprio con l’aiuto della Serenissima e con la mediazione del cardinale Niccolò Albergati che si riuscì ad avviare la conciliazione tra il C. ed Eugenio IV, il quale nel frattempo era dovuto fuggire da Roma. Il 19 luglio 1434 il papa promise di riconoscere il C. come cardinale e di restituirgli tutti i suoi uffici e dignità. L’Albergati fu incaricato di conferirgli le insegne del cardinalato, ma la cerimonia, avvenuta l’11 ag. 1434, fu tenuta nascosta ai padri del concilio. Il 9 marzo 1435 il C., lamentando che la riforma della Chiesa fosse ancora lontana, annunciò la sua partenza da Basilea, che lasciò verso la fine del mese, per incontrarsi a Firenze con il papa, che lo accolse benignamente.
Il C. approfittò della sua permanenza alla corte pontificia per occuparsi della riforma della vita monastica nei monasteri affidati alle sue cure, e in particolare di quella del monastero cisterciense di S. Salvatore di Settimo che gli venne dato in commenda il 21 apr. 1436 (Reg. Vat. 366, ff. 201r-202v). Quando vi rinunciò il25 apr. 1441, questo monastero era diventato la prima cellula da dove partirono gli impulsi per il rinnovamento dell’Ordine nel Rinascimento. Si acquistò meriti anche nei riguardi dell’Ordine teutonico, di cui aveva assunto il protettorato dopo la morte del cardinal Conti (9 sett. 1437) per desiderio del gran maestro, protettorato che conservò fino alla morte come quello dell’Ordine dei minoriti, che gli era stato conferito dopo la morte del cardinale Cesarini (10 nov. 1444).Dal 17 sett. 1438 fino al 15 sett. 1439, il C. fu camerlengo del Collegio cardinalizio, un ufficio che esercitò con zelo, cosicché gli fu conferito una seconda volta nel 1448-49. Il 18 sett. 1437 sottoscrisse la bolla Doctoris gentium con la quale Eugenio IV trasferì il concilio da Basilea a Ferrara. Insieme con il cardinale Prospero Colonna il C. si recò in questa città per svolgere i preparativi necessari e per partecipare alle trattative di unione con i Greci. Il suo nome compare infatti in calce al decreto di unione, pubblicato il 5 luglio 1439 a Firenze, dove nel frattempo era stata nuovamente trasferita l’assemblea conciliare. Si oppose con coraggio all’elevazione al cardinalato di Giovanni Vitelleschi nemico dei Colonna (9 ag. 1437), in modo che per breve tempo i suoi rapporti con Eugenio IV sembrarono incrinati, e si adoperò, assieme al Cesarini, per l’elevazione al cardinalato del Bessarione, che avvenne il 18 dic. 1439 a Firenze. Altrettanto decisamente si adoperò per una conciliazione con la Germania, che divenne realtà poco prima della morte di Eugenio IV nel febbraio del 1447. Già prima, il 6 sett. 1443, era stato nominato vicario generale nella Marca d’Ancona (Reg. Vat. 382, ff. 192v-193r), dove da poco era scoppiata la guerra contro l’ambizioso condottiero Francesco Sforza. Insieme con Francesco Piccinino il C. comandava le truppe, che, prima di riuscire a congiungersi con quelle del re di Napoli, subirono il 19 ag. 1444 una gravissima sconfitta presso Montolmo; il C. stesso, leggermente ferito, cadde prigioniero. Il 17 nov. 1444 era di ritorno a Roma per giustificarsi nel concistoro, ma l’11 dicembre lasciò di nuovo la città per assumere una seconda volta la legazione di Perugia (ibid., ff. 236v-238r), dove il 19 fu accolto trionfalmente (Graziani, pp. 502 s.). Come al tempo della sua prima legazione cerco anche ora di rafforzare il dominio pontificio “e di fare azione rappacificatrice e moralizzatrice, emanando decreti contro il lusso, e organizzando prediche per il buon costume” (cfr. Morpurgo-Castelnuovo, p. 50). Ancor più che nel 1430-31 si ricordano ora le misure prese per migliorare i costumi e per riformare la vita morale e religiosa del clero.
Già sin dall’inizio del 1444 il C. era in possesso del titolo presbiteriale di S. Croce in Gerusalemme resosi vacante con la morte del cardinale Albergati, ma mantenne anche quello suo diaconale in commenda. Visto che Eugenio IV aveva unito a quest’ultimo, già il 19 marzo 1435 il monastero femminile di San Ciriaco abbandonato dalle monache, il C. cercò ora di istituire un capitolo collegiato di nove canonici sottoposto a un priore, che poté essere realizzato poco prima della sua morte (1457).
Per proprio desiderio il C. si ritirò già dopo un anno dalla legazione perugina e ritornò a Roma il 30 dicembre 1445, nonostante l’affetto dimostratogli dalla popolazione. Ma non rimase a lungo a Roma: il 25 genn. 1446 fu nuovamente nominato legato nella Marca d’Ancona (Reg. Vat. 381, f. 33v), dove si prospettavano altri scontri con Francesco Sforza. Per iniziativa sua fu conclusa la pace tra Ascoli Piceno e Fermo e una lega tra le due città impedì al condottiero l’ulteriore avanzata. Non sorprende pertanto che il C. fosse considerato uno dei papabili nel conclave seguito alla morte di Eugenio IV (23 febbr. 1447).
Il nuovo papa, Niccolò V, gli era affezionato ancora più del suo predecessore, e il cardinale di Fermo (come il C. fu chiamato generalmente) non era solo uno dei prelati più favoriti dal pontefice, ma fu incaricato da lui anche di compiti particolarmente delicati nell’ambito della politica ecclesiastica.
Nominato per la terza volta legato nella Marca d’Ancona il 19 apr. 1447, si recò in questa provincia per risolvere le questioni ecclesiastico-amministrative rimaste pendenti in seguito alla morte di Eugenio IV (Reg. Vat. 432, ff. 23v-26v). Poi fu incaricato di promuovere la riforma dei numerosi inconvenienti e abusi nella vita della Chiesa. Il suo progetto per la riforma della Curia, conservato purtroppo solo in parte (cod. Vat. lat. 4039), indica con franchezza gli abusi ricorrenti soprattutto nel campo dei benefici e delle annate e condanna aspramente l’ammissione di persone indegne e impreparate alle cariche ecclesiastiche. Nel suo scritto aveva rivolto un’attenzione particolare allo ufficio della penitenzieria; così non sorprende che il papa, il 29 genn. 1449, gli affidasse l’importante carica di gran penitenziere come successore del cardinale Giovanni Berardi di Tagliacozzo (Reg. Lat. 432, f. 332v). Il suo comportamento disinteressato e i suoi sentimenti di sincera devozione alla Chiesa lo predestinavano del resto per questo ufficio e già durante l’anno del giubileo del 1450 poté dar prova delle sue qualità.Alla notizia della caduta di Costantinopoli il C. fu mandato da Niccolò V come legato alla corte di Napoli per conquistare Alfonso d’Aragona, al progetto di una crociata contro i Turchi. Abbandonò Roma il 18 luglio 1453 e si recò per Terracina e Aversa a Napoli, dove fu accolto con particolare splendore senza però conseguire un vero successo, dato che il re voleva prima vedere quale avesse assunto Venezia. Poco tempo dopo, un’altra missione lo condusse a Genova, paralizzata sia da contrasti interni sia dalla guerra che stava combattendo contro Napoli (novembre 1453). Di questa missione si è conservato un Itinerario particolareggiato (cod. Vat. lat. 5622, ff. 130-143), autore il giovane Iacopo Ammannati che vi partecipò come segretario del C., il quale descrive il viaggio, via Civita Castellana, Viterbo, Orvieto, Incisa, Firenze, Lucca e Sarzana, a Genova, dove il legato riuscì alla fine, dopo laboriose trattative, a concludere tra le parti avverse un compromesso che costituisce in un certo senso il preliminare della pace di Lodi (9 apr. 1454). Ma il coronamento di questa sua attività diplomatica fu la sua seconda legazione a Napoli (6 nov. 1454) per concludere l’accordo anche con il re Alfonso V (26 genn. 1455): ora la penisola era effettivamente unita nella “lega italica”, ed è evidente che da parte del Papato il C. era considerato il garante di questa pace.
Durante la sede vacante dopo la morte di Niccolò V (24 marzo 1455) il C., insieme con i cardinali Orsini e Colonna, amministrò gli affari del Patrimonio di S. Pietro. Anche il nuovo papa Callisto III, la cui elezione egli non aveva accolto con molto entusiasmo, inizialmente lo incaricò spesso di faccende amministrative e relative alla distribuzione delle cariche ecclesiastiche.
Il 21 ott. 1455 gli fu dato in commenda il monastero benedettino di S. Bartolomeo “de Campo Fullonum” in provincia di Ascoli Piceno (Reg. Vat. 442, f 50ry) e il 30 dic. 1455 fu nominato arciprete di S. Giovanni in Laterano (Reg. Vat. 439, ff. 240v-241v). Ma soprattutto il C. si adoperò per realizzare la crociata contro i Turchi. Quando durante l’estate del 1456 Roma fu colpita da una epidemia di peste, dimostrò la stessa intrepidezza come quando biasimava davanti al vecchio pontefice il comportamento scandaloso dei suoi nipoti. Si tirò addosso l’odio della cricca dei Borgia sopratutto per aver negato costantemente il suo consenso alla nomina di Pier Luigi Borgia a duca di Spoleto, e in conseguenza si dovette ritirare dalla vita pubblica.
Il C. era uno dei possibili candidati al papato, quando Callisto III morì il 6 ag. 1458. Milano in particolare ed anche Napoli favorivano la sua candidatura. Ma nella notte tra il 13 e il 14 agosto il C., già da tempo indebolito, da malattie, fu colpito da una violenta febbre che nel pomeriggio del 14 lo portò alla tomba.
Venne sepolto nella chiesa domenicana di S. Maria sopra Minerva, dove il fratello, il cardinale Angelo, gli fece erigere un dignitoso monumento.
Enea Silvio Piccolomini, una volta suo segretario e poi papa col nome di Pio II, lo dice “vir, nisi iracundiae succubuisset, exemplaris et optimus; fuit enim vitae mundissimae, doctrina et rerum experientia magnus” (Commentarii, Francofurti 1614, pp. 29 s.). Ma la memoria del C. è legata soprattutto al collegio da lui fondato con l’intenzione di agevolare gli studi agli studenti poveri di teologia, delle arti e del diritto canonico, che inizialmente, per ragioni finanziarie, era ospitato nel suo palazzo sito nei pressi di S. Maria in Aquiro, la cui costruzione era stata iniziata nel 1451. A questo collegio lasciò anche la sua preziosa biblioteca, conservata oggi in gran parte nel fondo Rossiano della Biblioteca Apostolica Vaticana. Lasciò varie opere, non tutte conservate, per la maggior parte raccolte di testi giuridici ed orazioni, tra le quali vanno segnalati i Documenta seu praecepta de modo vivendi scritti per il nipote Nicolò (Firenze, Bibl. Laurenziana, cod. Strozzi 33). Sicuramente non è opera del C. lo Speculum artis bene moriendi.
[Alfred A. Strnad – Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 19 (1976)]